IL CONTESTO DI RIFERIMENTO
Il Sistema della Ricerca Pubblica in Italia soffre da tempo di una “grave” frammentazione organizzativa e
istituzionale, che si ripercuote
negativamente sulla gestione delle risorse umane, economiche, e finanziarie,
sulla tutela dell’autonomia, terzietà e indipendenza dell’attività di ricerca
pubblica e sul “trattamento” degli addetti al settore.
I finanziamenti ordinari e
straordinari a favore di enti (e università) sono fra i più
bassi d’Europa. Nel 2011
il rapporto fra PIL e investimento in ricerca
e sviluppo si attesta in Italia all’1,26%
,
dato lontanissimo dal 3% previsto dal Patto di Lisbona. Nel 2010 l’apporto del
solo settore pubblico alla ricerca
rispetto al PIL era stimato intorno allo 0,56%. Nel 2012, pesanti interventi
normativi hanno ulteriormente ridotto dotazioni organiche e finanziamenti
ordinari per l’intero sistema di Ricerca Pubblica, soggetto ad un trattamento
analogo a tutta la
Pubblica Amministrazione, caratterizzato da una logica punitiva
che ha ignorato quella necessaria deroga o distinzione legata alla natura
strategica del comparto, che, invece, viene riconosciuta in tutti i paesi ad
economia più avanzata. Inoltre, questi
ultimi tagli si aggiungono al perdurante
blocco del turn-over che impedisce anche quel un minimo ricambio
generazionale negli EPR da moltissimi anni (quasi 20) con conseguente impoverimento delle
potenzialità professionali dell’intero comparto.
A confermare quanto detto, i valori
dei tassi di precarietà della maggior parte degli EPR, che raggiungono anche picchi
del 40%. Inotre, le dotazioni finanziarie ordinarie spesso non bastano neanche
a coprire le spese di gestione degli Enti, spingendo gli stessi ad una “corsa”
continua verso fondi extra-istituzionali per i quali impegnare personale esterno necessario a svolgere le molteplici e
gemmate attività di ricerca conseguenti, con conseguente incremento del livello
di precarietà del lavoro e la costante dipendenza degli EPR da questi fondi. I
fondi extra istituzionali finiscono, dunque, per indebolire il sistema
piuttosto che per rafforzarne la competitività e migliorare l’insieme della
Ricerca Italiana.
Negli ultimi anni molti enti di
ricerca sono stati soppressi e accorpati; di alcuni si sono interrotte
anche le linee di attività (vedi IAS e ISAE) e la stessa appartenenza al
comparto di alcuni enti soppressi è sospesa a causa della mancanza di decreti
attuativi. In alcuni casi specifici, è stata ridotta l’autonomia e la terzietà
delle attività di ricerca rispetto al potere politico e istituzionale (vedi
Ispesl confluito nell’INAIL). In altri casi, le soppressioni hanno addirittura
provocato l’interruzione dell'’erogazione degli stipendi dei lavoratori degli
enti e il blocco dei progetti in corso (vedi INRAN).
La frammentazione del sistema,
strettamente legata al sistema delle vigilanze Ministeriali, ha raggiunto
livelli talmente importanti da rendere impossibile una programmazione
pluriennale dell’intero Sistema della ricerca pubblica. Il Ministero dell’istruzione, Università e
Ricerca (MIUR), a cui è affidato il compito di programmazione nazionale della
ricerca,
è il ministero vigilante solo del 60% degli EPR Italiani (compreso il CNR), al
quale corrispondono i 2/3 degli addetti del settore (20.000 addetti fra personale
precario e di ruolo), mentre il restante 40% degli EPR è vigilato da altri 6
Ministeri, oltre all’Istat, attualmente vigilato dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri.
Infine, resiste negli EPR, come in
tutta la PA, una classe dirigente “anziana” e poco
dinamica, i cui percorsi di carriera sono spesso assimilabili a quelli
tipici della PA, “scollegati”, quindi, dal merito e, piuttosto, determinati dall’anzianità
di servizio, quando va bene, o, al peggio, da logiche di cooptazione. Inoltre, l’organizzazione
di lavoro segue troppo spesso una logica gerarchica, in base alla quale i collaboratori e dipendenti sono considerati il
più delle volte dei sottoposti, piuttosto che colleghi, il cui lavoro deve
assoggettato “all’obbedir tacendo” di più adeguata collocazione in ambito
militare. A corollario, anzi, architrave di un sistema sì fondato, il ricambio
delle dirigenze diventa chimera quasi mai attuata se non inesistente. Infine, i
vertici degli EPR sono ancora di Nomina Politica, mentre nei consigli di
amministrazione, nominati con procedure eterogenee di Ente in Ente, la comunità
scientifica non è mai rappresentata (a parte poche e virtuose eccezioni), con conseguente
azzeramento della “democrazia” interna.
LE CRITICITA’ DEL SISTEMA
In sintesi potremmo dire che il sistema italiano degli ENTI PUBBLICI DI RICERCA
1. è seriamente SOTTO-FINANZIATO
rispetto agli altri Sistemi Europei;
2. soffre di un grave stato di “frammentazione” gestionale e organizzativa;
3. è caratterizzato da un’organizzazione gestionale gerarchia e sostanzialmente
verticistica, priva di ricambio
generazionale e/o legato al merito. Le nomine dei vertici sono
“governative”, gli incarichi dirigenziali non sono soggetti a valutazione e
sono spessissimo “sine die”.
4. è privo di
sistemi di garanzia e tutela dell’autonomia, della terzietà e
dell’indipendenza delle attività di ricerca;
5. è caratterizzato da un elevato tasso di precarietà di ricercatori, tecnici e
amministrativi;
6. è privo di una
programmazione di lungo periodo allargata a tutti gli Enti di Ricerca esistenti
in grado di sfruttare economie di scala interne, valorizzare le eccellenze,
sviluppare la collaborazione fra enti università e imprese.
7. è privo di un
sistema condiviso di valutazione interna (l’ANVUR lavora solo per gli enti
vigilati dal MIUR, ed è un soggetto al centro di troppe critiche per
desiderarne il suo rafforzamento);
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi commentare il le nostre proposte, scrivici qui!