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La Rete Ricerca Pubblica, considerando decisivi per il futuro del paese i prossimi mesi di campagna elettorale, ha ritenuto necessario rispetto alla propria Mission elaborare un documento snello ed incisivo di proposte per il rilancio del Sistema degli Enti pubblici di ricerca in Italia.

Nella speranza che parti sociali, forze politiche e movimenti della società civile possano accogliere questo contributo nella fase di elaborazione dei propri programmi d’azione e piattaforme di rivendicazione, laRete Ricerca Pubblica si rende disponibile al dialogo e al confronto sul tema della riforma del Sistema degli EPR, nella convinzione che la ricerca pubblica sia l’elemento primario da cui ripartire per rilanciare l’economia del paese e che il Sistema vada urgentemente riformato per poter concorrere degnamente al rilancio della crescita in Italia.

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La nostra Analisi


IL CONTESTO DI RIFERIMENTO

Il Sistema della Ricerca Pubblica in Italia soffre da tempo di una “grave” frammentazione organizzativa e istituzionale, che si ripercuote negativamente sulla gestione delle risorse umane, economiche, e finanziarie, sulla tutela dell’autonomia, terzietà e indipendenza dell’attività di ricerca pubblica e sul “trattamento” degli addetti al settore.

I finanziamenti ordinari e straordinari a favore di enti (e università) sono fra i più bassi d’Europa[A1] . Nel 2011 il rapporto fra PIL e investimento in ricerca e sviluppo si attesta in Italia all’1,26% [1], dato lontanissimo dal 3% previsto dal Patto di Lisbona. Nel 2010 l’apporto del solo settore pubblico alla ricerca rispetto al PIL era stimato intorno allo 0,56%. Nel 2012, pesanti interventi normativi hanno ulteriormente ridotto dotazioni organiche e finanziamenti ordinari per l’intero sistema di Ricerca Pubblica, soggetto ad un trattamento analogo a tutta la Pubblica Amministrazione, caratterizzato da una logica punitiva che ha ignorato quella necessaria deroga o distinzione legata alla natura strategica del comparto, che, invece, viene riconosciuta in tutti i paesi ad economia più avanzata. Inoltre,  questi ultimi tagli si aggiungono al perdurante blocco del turn-over che impedisce anche quel un minimo ricambio generazionale negli EPR da moltissimi anni (quasi 20) con conseguente impoverimento delle potenzialità professionali dell’intero comparto.

A confermare quanto detto, i valori dei tassi di precarietà della maggior parte degli EPR, che raggiungono anche picchi del 40%. Inotre, le dotazioni finanziarie ordinarie spesso non bastano neanche a coprire le spese di gestione degli Enti, spingendo gli stessi ad una “corsa” continua verso  fondi extra-istituzionali  per i quali impegnare personale esterno necessario a svolgere le molteplici e gemmate attività di ricerca conseguenti, con conseguente incremento del livello di precarietà del lavoro e la costante dipendenza degli EPR da questi fondi. I fondi extra istituzionali finiscono, dunque, per indebolire il sistema piuttosto che per rafforzarne la competitività e migliorare l’insieme della Ricerca Italiana.

Negli ultimi anni molti enti di ricerca sono stati soppressi e accorpati; di alcuni si sono interrotte anche le linee di attività (vedi IAS e ISAE) e la stessa appartenenza al comparto di alcuni enti soppressi è sospesa a causa della mancanza di decreti attuativi. In alcuni casi specifici, è stata ridotta l’autonomia e la terzietà delle attività di ricerca rispetto al potere politico e istituzionale (vedi Ispesl confluito nell’INAIL). In altri casi, le soppressioni hanno addirittura provocato l’interruzione dell'’erogazione degli stipendi dei lavoratori degli enti e il blocco dei progetti in corso (vedi INRAN).

La frammentazione del sistema, strettamente legata al sistema delle vigilanze Ministeriali, ha raggiunto livelli talmente importanti da rendere impossibile una programmazione pluriennale dell’intero Sistema della ricerca pubblica.  Il Ministero dell’istruzione, Università e Ricerca (MIUR), a cui è affidato il compito di programmazione nazionale della ricerca[2], è il ministero vigilante solo del 60% degli EPR Italiani (compreso il CNR), al quale corrispondono i 2/3 degli addetti del settore (20.000 addetti fra personale precario e di ruolo), mentre il restante 40% degli EPR è vigilato da altri 6 Ministeri, oltre all’Istat, attualmente vigilato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Infine, resiste negli EPR, come in tutta la PA, una classe dirigente “anziana” e poco dinamica, i cui percorsi di carriera sono spesso assimilabili a quelli tipici della PA, “scollegati”, quindi, dal merito e, piuttosto, determinati dall’anzianità di servizio, quando va bene, o, al peggio, da logiche di cooptazione. Inoltre, l’organizzazione di lavoro segue troppo spesso una logica gerarchica, in base alla quale i  collaboratori e dipendenti sono considerati il più delle volte dei sottoposti, piuttosto che colleghi, il cui lavoro deve assoggettato “all’obbedir tacendo” di più adeguata collocazione in ambito militare. A corollario, anzi, architrave di un sistema sì fondato, il ricambio delle dirigenze diventa chimera quasi mai attuata se non inesistente. Infine, i vertici degli EPR sono ancora di Nomina Politica, mentre nei consigli di amministrazione, nominati con procedure eterogenee di Ente in Ente, la comunità scientifica non è mai rappresentata (a parte poche e virtuose eccezioni), con conseguente azzeramento della “democrazia” interna.



LE CRITICITA’ DEL SISTEMA

In sintesi potremmo dire che il sistema italiano degli ENTI PUBBLICI DI RICERCA

1.   è seriamente SOTTO-FINANZIATO rispetto agli altri Sistemi Europei;

2.   soffre di un grave stato di “frammentazione” gestionale e organizzativa;

3. è caratterizzato da un’organizzazione gestionale gerarchia e sostanzialmente verticistica, priva di ricambio generazionale e/o legato al merito. Le nomine dei vertici sono “governative”, gli incarichi dirigenziali non sono soggetti a valutazione e sono spessissimo  “sine die”.

4. è privo di sistemi di garanzia e tutela dell’autonomia, della terzietà e dell’indipendenza delle attività di ricerca;

5. è caratterizzato da un elevato tasso di precarietà di ricercatori, tecnici e amministrativi;

6.  è privo di una programmazione di lungo periodo allargata a tutti gli Enti di Ricerca esistenti in grado di sfruttare economie di scala interne, valorizzare le eccellenze, sviluppare la collaborazione fra enti università e imprese.

7.  è privo di un sistema condiviso di valutazione interna (l’ANVUR lavora solo per gli enti vigilati dal MIUR, ed è un soggetto al centro di troppe critiche per desiderarne il suo rafforzamento);




[1] Fonte Istat, dicembre 2012

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